Il 18 ottobre 1810 il parroco don Antonio Cao annotò sul registro della Cattedrale di Cagliari il battesimo di Giovanni Matteo, nato il giorno precedente, figlio legittimo dell’Illustre Signor Cavaliere Don Stefano De Candia di Alghero (Capitano ed Aiutante di Sua Altezza Reale) e Donna Caterina Grixoni di Ozieri. Mario De Candia – destinato a diventare uno dei più grandi tenori dell’Ottocento – nacque invece 28 anni dopo sul palcoscenico del teatro di Rue Lepelletier, a Parigi, dopo che il compositore Giacomo Meyerbeer lo aveva convinto a debuttare come protagonista della sua opera “Robert le Diable”.
De Candia si era rifugiato a Parigi, abbandonando una carriera militare intrapresa per tradizione familiare, dopo essersi guadagnato una reputazione di ribelle e sovversivo. A 12 anni, al Collegio militare di Torino, Giovanni Matteo aveva come compagni di studi Camillo Benso di Cavour e Alfonso Della Marmora. A 19 anni, trasferito a Genova con il grado di sottotenente, conobbe Giuseppe Mazzini e Giacomo Ruffini e si avvicinò agli ideali repubblicani. I richiami e le minacce del padre furono inutili e – dopo aver visto finire in carcere molti dei suoi compagni – lasciò la divisa e si imbarcò a Genova su una barca di pescatori diretta in Francia. Una fuga avventurosa, prima a Marsiglia e poi nel 1836 a Parigi, dove fu accolto dalla comunità degli esuli politici italiani.
Il giovane disertore squattrinato fece amicizia con il marchese De Brême e con i principi di Belgiojoso. Nel salotto di casa Belgiojoso si discuteva di politica ma era possibile anche incontrare tanti protagonisti della vita culturale parigina: Chopin, Liszt, Rossini e Bellini assieme a Balzac, a George Sand, ai due Dumas, padre e figlio.
Per qualche tempo Giovanni Matteo si arrangiò dando lezioni di scherma e di equitazione, poi in un viaggio a Londra tentò di arruolarsi nell’esercito inglese, infine tornò a Parigi, sempre senza un soldo. Al canto arrivò per caso, spinto dagli amici che – entusiasti per le sue esibizioni private – gli predicevano un successo sicuro. Da cavaliere a cantante d’opera: un passo difficile, per un nobile, anche se fuggiasco. Ma Giovanni Matteo De Candia – per bisogno più che per convinzione – accettò la sfida e incominciò a studiare per il palcoscenico. Per non disonorare ulteriormente la famiglia, scelse il nome d’arte di Mario e in una lettera promise alla madre che non avrebbe mai cantato in Italia.